LE SANZIONI AMMINISTRATIVE DOGANALI ALLA LUCE DEL NUOVO CODICE

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LE SANZIONI AMMINISTRATIVE DOGANALI ALLA LUCE DEL NUOVO CODICE

Il nuovo codice doganale mira, attraverso l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ad un’applicazione armonizzata e standardizzata dei controlli doganali operati dagli Stati membri, al fine di assicurare in tutta l’Unione un controllo doganale di livello equivalente che scongiuri il rischio di comportamenti anticoncorrenziali ai vari punti di entrata e di uscita dell’Unione (considerando n. 19). Difatti, è notorio che un diverso livello dei controlli doganali è idoneo a spostare i traffici commerciali nei paesi nei quali detti controlli si rivelano meno invasivi.

Il medesimo effetto distorsivo della concorrenza potrebbe verificarsi nel caso di sistemi nazionali sanzionatori con diversi livelli di incisività. Il nuovo codice doganale, pur non disponendo di un proprio sistema sanzionatorio, al paragrafo 1 dell’articolo 42 CDU stabilisce, con disposizione di principio, che ogni Stato membro deve prevedere nella propria legislazione sanzioni applicabili alle violazioni alla normativa doganale, così come definita all’articolo 5, numero 2, del CDU, che siano effettive, proporzionali e dissuasive.

Il principio di proporzionalità delle sanzioni, prima di questa importante codificazione, aveva trovato una lunga  e costante affermazione nella giurisprudenza unionale a mente della quale le sanzioni devono essere adeguate allo scopo nel senso che se, da una parte, devono tutelare gli interessi erariali dell’Unione, dall’altra parte non possono costituire per chi le subisce un sacrificio eccessivo rispetto all’interesse oggetto di lesione. In altri termini, le sanzioni devono essere adeguate, non mancando di rilevare la differenza tra violazioni formali, che non incidono sul pagamento dei tributi, e violazioni sostanziali che invece incidono sull’interesse dell’unione europea alla corretta esazione dei tributi doganali.  Ne consegue che se la violazione è sostanziale, non pare legittima una misura fissa, visto che essa non varia a seconda dell’importo evaso (che è uno dei fattori che concorre a determinare la gravità). Se, invece, la violazione è formale, non è proporzionata una sanzione parametrata all’importo dovuto, visto che, proprio perché la violazione non comporta evasione, l’importo dovuto non è un parametro della gravità.

In assenza di un intervento legislativo nazionale volto ad uniformare il sistema sanzionatorio ai principi già enunciati giurisprudenzialmente e ora codificati dal nuovo codice doganale, le principali fonti normative nazionali vigenti in materia di sanzioni doganali sono:

a) la disciplina generale in materia di sanzioni amministrative tributarie, applicabile anche alle violazioni in materia doganale, dettata dal D.Lgs.n.472 del 18.12.1997;

b) la normativa sanzionatoria specifica per le infrazioni doganali contenuta nel Titolo VII del T.U.L.D. (D.P.R. n.43/1973).

Inoltre, il recente D.Lgs n.8 del 15 gennaio 2016, in attuazione della Legge delega n.67 del 28 aprile 2014, ha depenalizzato alcune infrazioni doganali già previste come reato nel predetto Titolo VII – tra le quali, in particolare, il contrabbando semplice – che restano illecite  ma vengono ora sanzionate in via esclusivamente amministrativa secondo i criteri e le modalità recate dal citato D. Lgs. n.8/2016 che prevedono che la misura della sanzione applicabile sia corrispondente alla misura della multa o dell’ammenda ma, in ogni caso, non inferiore ad € 5.000,00 e, dunque, con una sanzione minima determinata, in molteplici casi,  in misura fissa.

Il “Decreto semplificazioni fiscali” n. 16 del 2012, aveva modificato l’art. 303 del T.U.L.D., individuando, tra le condotte sanzionate, le violazioni che riguardano la qualità, la quantità, il valore delle merce e distinguendole tra (comma 1) violazioni “formali” (difformità tra dichiarato ed accertato dalle quali consegue una rideterminazione dei diritti di confine entro una certa soglia) punite con lieve sanzione amministrativa e violazioni “sostanziali” (comma 3 che costituisce aggravante del primo) quando i diritti di confine complessivamente dovuti secondo l’accertamento portino una differenza rispetto all’accertato di oltre il 5%.

In tal caso le sanzioni amministrative non sono più proporzionali,  come nella previgente formulazione, all’entità dell’accertato (da una a 10 volte), ma parametrate a scaglioni secondo i diritti liquidati dall’Ufficio e con importi decisamente significativi in relazione ai tributi dovuti.

Dette sanzioni, se potevano essere ritenute illegittime perché incompatibili con i canoni giurisprudenziali della proporzionalità e se le relative eccezioni di  illegittimità potevano essere accolte e dichiarate dal giudice nazionale eventualmente adito a riguardo, la nuova codificazione del principio di proporzionalità, idonea a connotare il medesimo di una forza precettiva immediata,   rende le norme sanzionatorie nazionali innanzi esaminate del tutto incompatibili con la norma unionale.

D’altra parte, in base al principio di preferenza, il diritto dell’Unione europea prevale sul diritto interno dei suoi Stati membri. La preminenza del diritto dell’Unione è sancita dall’articolo 10 della Convenzione Europea.

In presenza di una legge nazionale che contrasti con una norma comunitaria, il giudice ordinario deve disapplicare la legge nazionale nel caso specifico e applicare il diritto dell’Unione, senza porre quesiti di incostituzionalità o attendere che il legislatore nazionale risolva il conflitto.

Ogni interessato deve presentare ricorso al giudice nazionale  chiedendo che si applichi il diritto comunitario, disapplicando quello nazionale. Senza una sentenza che disapplica il diritto comunitario, i soggetti devono seguire le norme nazionali vigenti.

Ne consegue che, in caso di applicazione di una sanzione amministrativa doganale che dovesse risultare in contrasto con il principio di proporzionalità di cui all’art. 42 del CDU, può essere adita la commissione tributaria competente al fine di ottenere disapplicare la norma sanzionatoria contrastante con il principio di proporzionalità di cui all’art. 42 CDU.

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